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“The godfather of tattooing”: Ed Hardy

Essere tatuatore significa, oggi più che mai, guardare a figure fondamentali della storia del tatuaggio. Tra queste spicca Don Ed Hardy, classe 1945. Considerato una conoscenza imprescindibile per chiunque voglia cimentarsi con il tatuaggio classico americano, californiano e con quello giapponese, Hardy ha avuto un ruolo determinante nell’alimentare il boom internazionale del tatuaggio.

Le sue opere segnano uno spartiacque, sia sul piano estetico che concettuale. Passione, capacità di visione e fiducia nel potere trasformativo dei tatuaggi lo hanno reso uno dei padri del tatuaggio contemporaneo.

Il fascino nasce da bambino: colpito dai tatuaggi sulle braccia del padre, veterano della Seconda guerra mondiale, il giovane Ed inizia a “tatuare” i compagni di scuola con l’eyeliner. A soli dieci anni frequenta lo studio di Bert Grimm a Long Beach Pike, dove osserva, prende ispirazione e comincia a disegnare.

Negli anni ’60, alla professione di tatuatore affianca lo studio dell’incisione al San Francisco Art Institute. È un percorso insolito – e per molti criticato – nel mondo del tattoo, ma gli offre una formazione artistica completa. La scelta di rinunciare a una borsa di studio in Belle Arti a Yale conferma la sua dedizione totale al tatuaggio.

In circa quarant’anni di carriera, Hardy non si limita a tatuare. Coltiva anche incisione, pittura e fotografia, tracciando però soprattutto la strada allo sviluppo del tatuaggio occidentale moderno. Con l’influenza di maestri come Cliff Raven, Sailor Jerry e Phil Sparrow, approfondisce lo stile giapponese tradizionale, studiando rotoli del XII secolo e xilografie del XIX. I suoi viaggi in Giappone negli anni ’70 e ’80, insieme all’incontro con Horihide e Horiyoshi III, si trasformano in esperienze di vita e di crescita artistica.

Il risultato è una sintesi unica: estetica orientale e americana che si fonde con la street culture californiana. I soggetti di Hardy sono carichi di originalità e si distinguono dai flash predefiniti esposti sui muri degli studi. Nel 1974, al Realistic Tattoo, introduce un approccio rivoluzionario: i clienti diventano parte attiva del processo creativo. I tatuaggi non sono più modelli standard, ma opere personalizzate, progettate dopo settimane di studio.

Hardy applica così al tatuaggio una vera mentalità artistica. I suoi lavori assorbono la luce e i colori della California meridionale e proseguono le ricerche di Sailor Jerry, del quale eredita lo shop insieme a Mike Malone. Da marchio d’infamia o simbolo marginale, il tatuaggio diventa una forma d’arte centrale nella cultura pop, fino a trasformarsi in un trend globale.

Maestro a sua volta di artisti come Leo Zulueta, Hardy non si limita a inventare e tatuare un nuovo stile – il californiano. Con numerose pubblicazioni, come Tattootime (1-5), From the Walls of Tattoo CityDrawings for Tattoos o Permanent Curios, diffonde conoscenze e stimola riflessioni. Nel 2019, la mostra personale Ed Hardy: Deeper than Skin a San Francisco consacra il suo lavoro anche nel mondo accademico.

La sua creatività raggiunge perfino la moda. Nel 2000 autorizza l’uso dei suoi disegni per capi e accessori. Non mancano le critiche per la commercializzazione della cultura del tatuaggio, ma resta un fatto: tigri, teschi, cuori e pugnali con la firma Hardy diventano un brand riconoscibile, capace di entrare nell’immaginario collettivo. Un crossover che segna la definitiva consacrazione mainstream del tattoo.

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